Machiavelli

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In perioada Renasterii, odata cu stabilizarea relativa a frontierelor, arta si tehnica diplmatica revin in prim-plan. O reptrezentare a acestei reveniri a diplomatiei este opera lui Machiavelli, Principele, opera care poate fi considerata atat un manual de politica interna cat mai ales un indreptar de poplitica externa. Machiavelli atrage atentia sefilor de state din vremea sa ca existenta lor va fi intotdeauna conditionata de modul in care vor reusi sa realizeze dar si sa distruga intelegerile si aliantele. Lucrarea lui Machiavelli este adaptata contextului de la sfarsitului secolului XV, atunci cand nordul Italiei era impanzit de o serie de sttulee mai mult sau mai putin efemere a caror existenta depindea in mod evident de abilitatea principilor de a-si negocia supravietuirea. Pentru Machiavelli, supravietuirea este obiectivul principal al oricarui stat si pentru realizarea acestui obiectiv orice mijloc este permis in timp ce orice motivatie afectiva sau istorica risca sa primejduiasca realizarea acestuia. Machiavelli ne vorbeste mai mult decat de diplomatie, de insusi obiectivul suprem al statului- supravietuirea. Diplomatii moderni vor fi diferiti de sefii de state si vor avea putine mijloace la indemana pentru a actiona in interiorul statului pe care il reprezinta. LA VITA , LE OPERE E IL CONTESTO STORICO

Nel 1512 quando ormai aveva pi di quarant'anni (era nato a Firenze il 3 maggio 1496, da antica e nobile famiglia) Niccol Machiavelli veniva privato del suo ufficio e veniva inviato al confino per un anno. Il provvedimento era abbastanza logico perch tutta l'attivit diplomatica e politica di Machiavelli si era svolta al servizio del regime repubblicano di Firenze e la sua continuazione non poteva riuscire gradita ai Medici che rientravano nella loro citt al seguito delle vittoriose truppe spagnole. Machiavelli, dopo una giovinezza ( tra i grandi scrittori italiani dedicata in parte agli studi e in parte agli svaghi, aveva iniziato la sua attivit pubblica nel maggio del 1498 (quando si era conclusa col rogo l'avventura savonaroliana) , ottenendo l'incarico di segretario della seconda Cancelleria . Tale attivit non aveva mai avuto un grande rilievo sul piano della politica pratica, ma aveva permesso al segretario fiorentino di acquistare esperienza diretta degli avvenimenti e dei rivolgimenti politici di quegli anni tumultuosi che videro il crollo del sistema di stati italiani e della nostra indipendenza e lo scontro , sul nostro territorio , delle due nuove potenze europee, la Francia e la Spagna. E in Francia Machiavelli si rec numerose volte (nel 1500, nel 1504 , nel 10 e nell'11 ) , tanto da conoscere molto bene la struttura di questo stato e da poter analizzare con precisione le ragioni della forza e del prestigio dei Francesi e, insieme , le cause dei loro insuccessi. Ma non meno importanti furono le esperienze che egli pot fare presso Cesare Borgia , l'inquieto spregiudicato e ambizioso figlio naturale del papa Alessandro VI , che aspirava alla creazione di un forte stato nell'Italia centrale e minacciava direttamente e indirettamente Firenze . Presso il Valentino (cos era chiamato il Borgia) Machiavelli si rec due volte nel giugno e nell'ottobre del 1502 in occasione della ribellione della Valle di Chiana contro il dominio fiorentino ( ribellione fomentata dal Valentino stesso ) e da tali legazioni pot trarre argomento di ammirazione per l'energia, l'audacia, le capacit diplomatiche di questo signore "molto splendido e magnifico" che diverr poi quasi l'incarnazione del suo principe . D'altra parte egli non fu solo testimone della fortuna

del Valentino, ma anche del crollo di tutte le sue ambizioni , perch, dopo l'improvvisa morte di Alessandro VI e il brevissimo pontificato di Pio III , fu inviato dal governo fiorentino a Roma per seguire il conclave e pot assistere all'elezione di Giulio II, nemico di Cesare Borgia e sua " ultima ruina " . In quella occasione , e in una successiva legazione nel 1506 , il Machiavelli pot anche rendersi conto del temperamento del nuovo papa , dell'energia e del " furore " che lo misero al centro degli avvenimenti politici di quegli anni . Se si aggiunge che il 1507 il nostro segretario si rec in Germania presso la corte imperiale ( rimanendovi per oltre sei mesi ) , che nel 1509 assistette alla resa di Pisa e soprattutto, alla disfatta della maggiore potenza italiana, Venezia, e che , dal 1506 in poi , negli intervalli fra una legazione e l'altra, fu incaricato di arruolare e istruire un corpo di truppa cittadina, si vedr quanto varia e complessa fosse l'esperienza di Machiavelli. I problemi di fondo della politica europea gli si erano cos progressivamente chiariti: la necessit di uno stato unitario moderno, la necessit di truppe non mercenarie, il dramma della divisione italiana e della inettitudine della nostra classe dirigente. Questi problemi egli era gi venuto elaborando in una serie di scritti minori : Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini; Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati; Parole da dire sopra la provvisione del denaio fatto in loco di proemio e di scusa; Discorso dell'ordinare lo stato di Firenze in armi; Discorso sopra l'ordinanza e la milizia fiorentina; Ritratto delle cose della Magna; Ritratto delle cose di Francia; il Decennale primo e il Decennale secondo . E' del tutto comprensibile il cruccio del Machiavelli vedendosi mettere da parte proprio nel momento in cui era giunto alla sua completa maturit e poteva guardare le cose dall' alto di una ricchissima esperienza . Ma i Medici furono inflessibili : in un primo tempo addirittura lo imprigionarono ( e lo torturarono pure ) , sospettando che avesse partecipato alla congiura del Boscoli , poi lo tennero inoperoso per quasi otto anni , sino al 1520 , e infine gli assegnarono qualche incarico minore : di esprimere un parere a riguardo della costituzione fiorentina ( e lui scrisse il Discorso sopra il riformare lo stato di Firenze ) , di narrare la storia della citt ( di qui le Istorie fiorentine ) , di andare come ambasciatore presso la " repubblica degli Zoccoli " , cio presso il capitolo dei Frati minori di Carpi . Solo nel 1526 gli venne affidato un incarico importante : quello di cancelliere dei Procuratori delle mura , preposti alla difesa di Firenze . Ma i Medici vennero di nuovo scacciati e Machiavelli, sospettato anche dal regime repubblicano, fu lasciato da parte. Mor tra il 20 e 22 giugno 1527. Durante gli anni del suo ozio forzato, Machiavelli si ritir in una villa presso San Casciano. Qui egli passava la giornata a caccia di uccelli, o nella lettura dei poeti latini, o imbestialendosi nel giocare a tric-trac con l'oste, il mugnaio, il beccaio, o infine standosene sulla porta dell'osteria e scambiando impressioni e notizie coi passanti. Ma la sera si ritirava nel suo studio e leggeva le antiche storie e interrogava gli antichi scrittori: "e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povert, non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro". E' dalle meditazioni che ispira questa frequentazione con i vivi e con i morti, coi passanti e i loro "vari gusti e diverse fantasie e coi grandi uomini dell'antichit, che nascono quasi d'un sol getto (fra il 1512 e il 1520) le grandi opere machiavelliane

: il Principe, i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, i dialoghi Dell'arte della guerra, la Vita di Castruccio Castracani, La Mandragola . Frequentazione con i vivi e con i morti, abbiamo detto. Ed questo che fa grande il Machiavelli, che gli permette di essere la coscienza pi alta del Rinascimento e di rappresentarlo nei suoi elementi dinamici, nel suo dramma profondo, e non soltanto - come accadeva al Castiglione e al Bembo - nei suoi elementi grandiosi ma statici. Il fatto, cio, che egli sa stabilire, nello stesso tempo, un contatto diretto col mondo classico e con le persone che lo circondano. Per lui, rivolgersi all'antico non significa evadere dal presente. Anzi. I problemi che affronta Machiavelli non sono mai problemi astratti (anche quando sembra che lo siano ), non sono mai problemi che si pongono sul piano delle categorie universali (moralit, utilit, politicit, e cos via), ma sono problemi collegati alla valutazione e alla soluzione di una situazione storico-politica concreta, quella dell'Italia nei primi decenni del sec. XVI Per questo non la scoperta della categoria dell'utile diversa e distinta dalla categoria della morale l'elemento caratterizzante del pensiero machiavelliano: Non gi che il problema dell'autonomia della politica, rispetto alla morale, non sia stato effettivamente da lui posto. Basterebbe pensare al capitolo del principe dedicato a coloro "che per scelleranza sono venuti al Principato" con gli esempi di Agatocle e di Oliverotto da Fermo, all'esaltazione del Valentino - ammirato nella sua abilit politica indipendentemente dai suoi delitti - o al capitolo XVIII della stessa opera dove si pone il problema se i principi debbano mantenere gli impegni presi. E se parlando do Agatocle il Machiavelli sembrava ancora oscillare non sentendosela di identificare la "virt" - sia pure nella particolare accezione in cui egli usava questo termine di "energia" e "capacit" - con le scelleratezze di Agatocle e di altri, qui egli non manifesta pi dubbi. La politica ha alcune leggi che non coincidono sempre con con quella della morale: essere buono pu sovente procurare la "ruina" di un principe, al contrario, mancare di parola, ingannare, assassinare spesso pu salvare uno stato. Di qui l'accusa di immoralit che gli venne presto rivolta, e la formula del "fine che giustifica i mezzi" che gli viene attribuita. In realt Machiavelli si limita a costatare scientificamente le due sfere diverse in cui agiscono politica e morale. Si rende conto con chiarezza dell'autonomia di una rispetto all'altra, non ne individua il punto di congiunzione. Ma il secondo problema non lo interessava: la "realt effettuale" italiana non suggeriva certo un discorso sulla morale. Per questo l'interesse del Principe si accentra tutto, invece, sulla figura del "principe nuovo" come la sola che possa sciogliere positivamente la complessa trama della crisi italiana: anzi fra l' elogio del Valentino e la condanna di Cesare . Contraddizioni inesistenti se si considera che Il principe poneva soprattutto il problema della creazione di uno stato nuovo nella situazione italiana di quel periodo e i Discorsi pongono soprattutto il problema del mantenimento dello stato , dei suoi ordinamenti migliori . Per la stessa ragione nei Discorsi al popolo si d un posto che non ha mai nel Principe , fino all'affermazione che il popolo " pi prudente , pi stabile e di migliore giudizio che un principe " e che " se i principi sono superiori a' popoli nello ordinare le leggi , formare vite civili , ordinare statuti ed ordini nuovi , i popoli sono tanto superiori nel mantenere le cose ordinate " . Cos Machiavelli pu arrivare a una stupefacente scoperta che sembra preludere alle concezioni politiche moderne : che cio le lotte fra

patrizi e plebei non indebolirono Roma , ma le permisero di raggiungere ordinamenti sempre pi perfetti . Insomma nei Discorsi l' argomentazione pi distesa e distaccata e pu , quindi , abbracciare un campo pi vasto anche se meno omogeneo . Cos Machiavelli pu riprendere il discorso sulla religione non tanto considerandola uno strumento del potere costituito , quanto un costume morale che regola i rapporti civili fra i cittadini come individui privati e , di conseguenza , rende pi ordinati e stabiliti i rapporti fra il cittadino e lo stato . Pu riprendere anche il discorso sulle milizie e sulla necessit di uno stato di ampliarsi , ripudiando in questo modo definitivamente il concetto di citt - stato e sostenendo la necessit di uno stato con una larga base territoriale . Tale collegamento alle cose e il carattere di ricerca della sua speculazione si rivelano pienamente " nella prosa e nello stile stesso " del segretario fiorentino , in " questo tipo nuovo e liberale di prosa " in cui la sintassi " gi consapevole della sua libert ed individualit " e il " ragionamento a piramide degli scolastici " cede il posto al " ragionamento a catena " della prosa scientifica moderna . Il lettore ha costantemente l' impressione di assistere e di essere chiamato a partecipare a un laborioso processo di ricerca , irto di dubbi e di contraddizioni . La prosa del Machiavelli non assomiglia mai a quella del maestro che squaderna agli occhi del proprio allievo una verit della quale egli solo era in possesso ; essa piuttosto sollecita a provoca il lettore , cui si rivolge , di frequente , con un " tu " perentorio e aggressivo , a farsi compagno e sodale del suo autore , lo immedesima nei dubbi e nelle incertezze di questo . In tal senso la prosa di Machiavelli eminentemente moderna . E quando d' improvviso il periodare serrato e incalzante del segretario fiorentino s' impenna e si apre in una di quelle rappresentazioni o formule condensate e chiarissime che sono tipiche della sua opera , il lettore ha la sensazione di assistere al germinare di un' intuizione nuova preparata e resa possibile da un lungo e penoso lavoro intellettuale , si sente partecipe della gioia della scoperta e , al tempo stesso , stupito della semplicit rivoluzionario della medesima . Insomma Machiavelli ha di fronte a s una realt mortificante , la " ruina d' Italia " , nelle sue istituzioni comunali o signorili , nei costumi dei suoi principi , nell' avvilimento del popolo . Di qui il pessimismo della sua intelligenza , quel contemplare distaccato e disgustare un mondo sordido e canagliesco , impastato di bassi appetiti , di astuzie meschine , di stupidit e di ingordigia che sta al fondo della Mandragola , il capolavoro del teatro del '500 . Egli , per , ha compreso l' importanza delle grandi formazioni di stati unitari verificatisi in Europa , sa che in questa direzione si muove la storia e il progresso ed consapevole che il grande patrimonio della civilt italiana potrebbe esprimere il principe capace di imprimere un suggello su quella materia informe e corrotta . IL PENSIERO POLITICO E FILOSOFICO Machiavelli non un puro teorico , inteso a costruire freddamente una teoria politica per cos dire " in laboratorio " : le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realt storica , in cui egli impegnato in prima persona grazie agli incarichi che ricopre nella Repubblica fiorentina , e mirano a loro volta ad incidere in quella realt , modificandola secondo determinate prospettive . Il suo pensiero si presenta cos come una stretta fusione di teoria e prassi : la teoria nasce dalla prassi e tende a

risolversi in essa . Alla base di tutta la riflessione di Machiavelli vi la coscienza lucida e sofferta della crisi che l' Italia contemporanea sta attraversando : una crisi politica , in quanto l' Italia non presenta quei solidi organismi statali unitari che caratterizzano le maggiori potenze europee e appare frammentata in una serie di Stati regionali e cittadini deboli e instabili ; crisi militare , in quanto si fonda ancora su milizie mercenarie e compagnie di ventura , anzich su eserciti " cittadini " , che soli possono garantire la fedelt , l' ubbidienza , la seriet di impegno ; ma anche crisi morale , perch sono scomparsi , o comunque si sono molto affievoliti , tutti quei valori che danno fondamento saldo ad un vivere civile , e che per Machiavelli sono rappresentati esemplarmente dall' antica Roma , l' amore per la patria , il senso civico , lo spirito di sacrificio e lo slancio eroico , l' orgoglio e il senso dell' onore , e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico e rinunciatario , che induce ad abbandonarsi fatalisticamente al capriccio mutevole della fortuna , senza reagire e senza lottare . Perci , come hanno dimostrato le guerre che si sono succedute dopo la calata dei Francesi nel 1494 , gli Stati italiani sono prossimi a perdere la loro indipendenza politica e a divenire satelliti delle potenze europee che si stanno disputando il territorio della penisola . Per Machiavelli l' unica via d' uscita da una cos straordinaria " gravit de' tempi " un principe dalla straordinaria " virt " , capace di organizzare le energie che potenzialmente ancora sussistono nelle genti italiane e di costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare le mire espansionistiche degli Stati vicini . A questo obiettivo storicamente concreto indirizzata tutta le teorizzazione politica di Machiavelli , la quale perci si riempie del calore passionale e dello slancio di chi partecipa con fervore ad un momento decisivo della storia del proprio paese . Ignorare queste radici pratiche immediate del pensiero machiavelliano porterebbe a travisarne completamente il senso . Tuttavia quel pensiero non resta limitato a quel campo cos contingente , poich altrimenti non avrebbe la forza di sollecitare ancora tanto interesse : partendo da quella situazione particolare , cercando di dare una risposta immediata ed efficace a quei problemi di traumatica urgenza , Machiavelli elabora una teoria che aspira ad avere una portata universale , a fondarsi su leggi valide in tutti i tempi e tutti i luoghi . Le radici pratiche immediate danno al suo pensiero quel calore , quella passione che lo rendono affascinante e che conferiscono alle sue opere uno straordinario valore letterario , ma poi la sua speculazione assume anche la fisionomia di una vera teoria scientifica . Concordemente Machiavelli stato definito come il fondatore della moderna scienza politica : innanzitutto egli determina nettamente il campo di questa scienza , distinguendolo da quello di altre discipline che si occupano ugualmente dell' agire dell' uomo , come l' etica . Machiavelli , poi , rivendica vigorosamente l' autonomia del campo dell' azione politica : essa possiede delle proprie leggi specifiche , e l' agire degli uomini di Stato va studiato e valutato in base a tali leggi : occorre cio , nell' analisi dell' operato di un principe , valutare esclusivamente se esso ha saputo raggiungere i fini che devono essere propri della politica , rafforzare e mantenere lo Stato , garantire il bene dei cittadini . Ogni altro criterio , se il sovrano sia stato giusto e mite o violento e crudele , se sia stato fedele o abbia mancato alla parola data , non pertinente alla valutazione politica del suo operato . E' una teoria di sconvolgente novit , veramente rivoluzionaria nel contesto della cultura occidentale . Machiavelli

ha il coraggio di mettere in luce ci che avviene realmente nella politica , non di delineare degli Stati ideali " che non si sono mai visti essere in vero " . Proclama infatti di voler andar dietro alla " verit effettuale della cosa " anzich all' " immaginazione di essa " , proprio perch non gli interessa mettere insieme una bella costruzione teorica , ma scrivere un' opera " utile a chi la intenda " , fornire uno strumento concettuale di immediata applicabilit alla politica reale e di sicura efficacia . Oltre al campo autonomo su cui applica la nuova scienza , Machiavelli ne delinea chiaramente il metodo . Esso ha il suo principio fondamentale nell' aderenza alla " verit effettuale " : proprio perch vuole agire sulla realt ne deve tener conto e quindi per ogni sua costruzione teorica parte sempre dall' indagine sulla realt concreta , empiricamente verificabile , mai da assiomi universali e astratti . Solo mettendo insieme tutte le varie esperienze si pu poi giungere a costruire principi generali . L' esperienza per Machiavelli pu essere di due tipi : quella diretta , ricavata dalla partecipazione personale alle vicende presenti , e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi . Machiavelli le definisce ( nella dedica del Principe ) rispettivamente " esperienza delle cose moderne " e " lezione delle antique " . In realt si tratta solo apparentemente di due forme diverse perch studiare il comportamento di un politico contemporaneo o di uno vissuto cento anni fa la stessa cosa , cambia solo il veicolo della trasmissione dei dati , dell' informazione su cui lavorare , ma il contenuto lo stesso . Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi una concezione tipicamente naturalistica : Machiavelli convinto che l' uomo sia un fenomeno naturale al pari di altri e che quindi i suoi comportamenti non variino nel tempo , come non variano il corso del sole e delle stelle . Per questo ha fiducia nel fatto che , studiando il comportamento umano attraverso le fonti storiche o l' esperienza diretta , si possa arrivare a formulare delle vere e proprie leggi di validit universale . Proprio per questo la sua storia costellata di esempi tratti dalla storia antica : essi sono la prova che il comportamento umano non varia e che quindi l' agire degli antichi pu essere di modello . Per lui gli uomini " camminano sempre per vie battute da altri " , perci propone il principio tipicamente rinascimentale dell' imitazione : Machiavelli nota che ai suoi tempi l' imitazione degli antichi pratica costante nelle arti figurative , nella medicina , nel diritto e depreca quindi che lo stesso non avvenga nella politica . Da questa visione naturalistica scaturisce la fiducia di Machiavelli in una teoria razionale dell' agire politico , che sappia individuare le leggi a cui i fatti politici rispondono necessariamente e quindi sappia suggerire le sicure linee di condotta statistica . Il punto di partenza per la formulazione di tali leggi una visione crudamente pessimistica dell' uomo come essere morale : l' uomo agli occhi di Machiavelli malvagio : non ne teorizza filosoficamente le cause , non indaga se lo sia per natura o in conseguenza ad una colpa originariamente commessa , ma si limita a constatare empiricamente gli effetti della sua malvagit sulla realt . Gli uomini sono " ingrati , volubili , simulatori e dissimulatori , fuggitori de' pericoli , cupidi di guadagno " e dimenticano pi facilmente l' uccisione del padre che la perdita del patrimonio : la molla che li spinge l' interesse materiale e non sono i valori sentimentali disinteressati e nobili . Tra tanti uomini malvagi il principe non deve n pu " fare in tutte le parti la professione di buono " perch andrebbe incontro alla rovina : deve anche sapere essere " non

buono " laddove lo richiedano le necessit dello Stato . Il vero politico agli occhi di Machiavelli deve essere un centauro , ossia un essere met uomo e met animale , deve cio essere umano o feroce come una bestia a seconda delle situazioni . Tuttavia Machiavelli sa bene come il venir meno alla parola data o l' uccidere spietatamente i nemici per un principe siano cose ripugnanti moralmente : tuttavia se il principe eticamente malvagio in politica diventa buono , perch uccide per difendere lo Stato e le sue istituzioni ; allo stesso modo i " buoni " moralmente sarebbero " cattivi " politicamente perch non uccidendo e non compiendo azioni malvagie lascerebbe perire lo Stato . Machiavelli quindi non il fondatore di una nuova morale , anzi , moralmente parlando un tradizionalista e considera " cattivo " chi uccide o non mantiene la parola data ; egli semplicemente individua un ordine di giudizi autonomi che si regolano su altri criteri , non il bene o il male , ma l' utile o il danno politico . E' interessante notare che Machiavelli distingue tra principi e tiranni : principe chi usa metodi riprovevoli a fin di bene , in favore dello Stato ; tiranno , invece , chi li usa senza che ci sia necessit . E' solo lo Stato che pu costituire un rimedio alla malvagit dell' uomo , al suo egoismo che disgregherebbe ogni comunit in un caos di spinte individualiste contrapposte le une alle altre . Per quel che riguarda il rapporto con la religione , a Machiavelli non interessa nella sua prospettiva concettuale , come contenuto di verit , n tanto meno nella sua dimensione spirituale , come garanzia di salvezza , ma solo ed esclusivamente come " instrumentum regni " , ossia come strumento di governo . La religione , in quanto fede in certi principi comuni , obbliga i cittadini a rispettarsi reciprocamente e a mantenere la parola data : questa era la funzione che la religione rivestiva gi ai tempi degli antichi Romani , secondo Machiavelli . Tuttavia nei Discorsi Machiavelli muove anche un biasimo alla religione , accusandola di essere spesso stata colpevole di rendere gli uomini miti e rassegnati , di far s che essi svalutassero le cose terrene per guardare solo al cielo . La forma di governo che meglio compendia in s l' idea di Stato per Machiavelli quella repubblicana , che argina e disciplina le forze anarchice dell' uomo . Il principato per Machiavelli una forma d' eccezione e transitoria , indispensabile solo in certi momenti , come quello che l' Italia sta vivendo ai suoi tempi , per costruire uno Stato sufficientemente saldo . La forma repubblicana la migliore perch non si fonda su un solo uomo , ma ha istituzioni stabili e durature . IL RAPPORTO VIRTU' - FORTUNA In Machiavelli si delineano due concezioni della virt : la virt eccezionale del singolo, del politico-eroe, che brilla nei momenti di eccezionale gravit, e la virt del buon cittadino, che opera entro stabili istituzioni dello Stato, e che non meno eroica della prima, come dimostrano tanti esempi della storia di Roma, dove rifulse la virt di semplici cittadini. Machiavelli ha comunque una visione eroica dell'agire umano. In lui viene a confluire quella fiducia nella forza dell'uomo, che era stata patrimonio della civilt comunale (si pensi a Boccaccio), ed era stata poi ereditata e consapevolmente teorizzata dalla civilt umanistica. Ma, proprio sulla scorta di questa tradizione di pensiero, Machiavelli sa bene che l'uomo nel suo agire ha precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni, e che non dipendono dalla sua volont. Questi limiti assumono il volto capriccioso e incostante della

fortuna. E' questo un altro grande tema della civilt umanistico-rinascimentale , che fa anch'esso la sua comparsa sin da Boccaccio . E' il frutto di una concezione laica e immanentistica, che mette tra parentesi la presenza nel mondo della provvidenza , intesa come disegno divino indirizzato consapevolmente a un fine, e porta in primo piano il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, svincolate da ogni finalit trascendente. Dalla tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l'uomo pu fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Egli ritiene che essa sia arbitra solo della met delle cose umane, e lasci regolare l'altra met agli uomini. Vi sono per Machiavelli vari modi in cui l'uomo pu contrapporsi alla fortuna. In primo luogo essa pu costituire "l'occasione" del suo agire, la "materia" su cui egli pu imprimere la "forma" da lui voluta. La "virt" del singolo e l' "occasione" si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l'occasione adatta per affermarle, e viceversa l'occasione resta pura potenzialit se un politico "virtuoso" non sa approfittarne. L'occasione pu anche essere una condizione negativa, che serve di stimolo ad una virt eccezionale. Scrive Machiavelli nei capitoli VI e XXVI del Principe che occorreva che gli Ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell'Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perch potesse rifulgere la "virt" di grandi condottieri di popoli come Mos, Teseo e Ciro. In secondo luogo la "virt" umana si impone alla fortuna attraverso la capacit di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti quieti l'abile politico deve prevedere i futuri rovesci, e predisporre i necessari ripari, come si costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena. Si fronteggiano cos, nel pensiero di Machiavelli, due forze gigantesche, la fortuna incostante , volubile , e la virt umana , che in grado di contrastarla, imbrigliarla, impedirle di far danno, piegarla ai propri fini. La "virt" di cui parla Machiavelli quindi un complesso di varie qualit: in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell'agire politico, ricavate, come sappiamo, sia dall'esperienza diretta sia della "lezione" della storia passata; in secondo luogo dalla capacit di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, il mutare dei rapporti di forza, l'incidenza degli interessi dei singoli ; infine la decisione, l'energia, il coraggio nel mettere in pratica ci che si disegnato: la "virt" del politico quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche , che conferma che nel pensiero machiavelliano teoria e prassi non vadano mai disgiunte. Ma vi ancora un terzo mondo teorizzato da Machiavelli per opporsi alla fortuna, e quindi un'altra dote che concorre a determinare la "virt" umana: il "riscontrarsi" con i tempi, cio la duttilit nell'adattare il proprio comportamento alle varie esigenze oggettive che via via si presentano, alle varie situazioni, ai vari contesti in cui si obbligati ad operare. Ad esempio, in certe occasioni occorre agire con cautela e ponderatezza, in altre con impeto e ardimento, in certi casi occorre l'astuzia della volpe, in altri la forza del leone. E qui compare una nota pessimistica: questa duttilit una dote altamente auspicabile, ma quasi mai si ritrova negli uomini, che non sanno variare il loro comportamento secondo le circostanze , perch , se hanno sempre avuto buon esito nell' operare in un certo modo , difficilmente sanno adattarsi a ricorrere a moduli diversi ; per cui i politici avranno buon esito solo se le circostanze saranno conformi alle loro doti naturali : cio la statistica , se sar cauto e prudente , avr successo solo

se si trover ad agire in circostanze che esigono prudenza , ma se i tempi variassero , ed esigessero decisioni pronte ed audaci , egli non saprebbe certamente adattarsi ed andrebbe in rovina . Come si vede Machiavelli reintroduce cos , pessimisticamente , un fattore di casualit che sfugge al controllo dell' uomo . " IL PRINCIPE " ( TESTO INTEGRALE ) Il 10 dicembre 1513 , dall' esilio dell' Albergaccio , Machiavelli annunciava all' amico Vettori di aver composto un " opuscolo de principatibus " , in cui si trattava " che cosa principato , di quale spetie sono , come e' si mantengono , perch e' si perdono " . L' indicazione fissa il momento in cui l' opera pu dirsi compiuta , ma lascia aperti altri problemi di datazione : in quale periodo sia stata composta , se sia stata scritta unitariamente o in fasi diverse e soprattutto quali siano i rapporti che legano ai " Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio " . Oggi gli studiosi tendono a collocare la composizione tra luglio e dicembre 1513 , in una stesura di getto , mentre si ritiene che posteriormente sia stata scritta la dedica a Lorenzo de' Medici e probabilmente anche il capitolo finale che , nel suo carattere di appassionata esortazione a liberare l' Italia dai " barbari " , sembra staccarsi dal tono lucidamente argomentativo del resto del trattato . Per quanto riguarda i rapporti con I Discorsi si pensato che la stesura di tale opera sia iniziata precedentemente nel corso del 1513 e sia stata interrotta nel luglio per far posto alla composizione del trattatello , che rispondeva a bisogni di maggiore urgenza , agganciandosi direttamente ai problemi attuali della situazione italiana . il Principe un' operetta molto breve , scritta in forma concisa e incalzante , ma densissima di pensiero . Si articola in 26 capitoli , di lunghezza variabile , che recano dei titoli in latino come era usanza dell' epoca . La materia divisa in diverse sezioni . I capitoli I - XI esaminano i vari tipi di principato e mirano a individuare i mezzi che consentono di conquistarlo e di mantenerlo , conferendogli forza e stabilit . Machiavelli distingue tra principati ereditari ( a cui dedicato il capitolo II ) e nuovi ; questi ultimi a loro volta possono essere misti , aggiunti come membri allo Stato ereditario di un principe ( capitolo III ) o del tutto nuovi ( capitoli IV - V ) ; a loro volta questi possono essere conquistati con la virt e con armi proprie ( capitoli IV - V ) , oppure basandosi sulla fortuna e su armi altrui ( capitolo VII , in cui si propone come esempio il duca Valentino ) . Il capitolo VIII tratta di coloro che giungono al principato attraverso scelleratezze , e qui Machiavelli distingue tra la crudelt " bene e male usata " : la prima quella impiegata solo per stati di assoluta necessit e che si converte nella maggiore utilit possibile per i sudditi ; male usata invece quella che cresce con il tempo anzich cessare ed compiuta per l' esclusivo vantaggio del tiranno . Nel capitolo IX si affronta il principato " civile " , in cui cio il principe riceve potere dai cittadini stessi ; nel X si esamina come si debbano misurare le forze dei principati e nell' XI si tratta dei principati ecclesiastici , in cui il potere detenuto dall' autorit religiosa , come nel caso dello Stato della Chiesa . I capitoli XII - XIV sono dedicati al problema delle milizie : Machiavelli giudica negativamente l' uso degli eserciti mercenari ( cosa che per altro aveva fatto gi Petrarca ) , abituale nell' Italia del tempo , perch essi combattendo solo per denaro sono infidi e pertanto costituiscono una delle cause principali della debolezza degli Stati italiani e delle pesanti sconfitte subite nelle recenti guerre ; di conseguenza , per

lui , la forza di uno Stato consiste soprattutto nel poter contare su armi proprie , su un esercito composto dagli stessi cittadini in armi , che combattano per difendere i loro averi e la loro vita stessa . I capitoli XV - XXIII trattano dei modi di comportarsi del principe con i sudditi e con gli amici . E' questa la parte in cui il rovesciamento degli schemi della trattatistica precedente pi radicale e polemico , in cui Machiavelli , anzich esibire il catalogo delle virt morali che sarebbero auspicabili in un principe va dietro alla " verit effettuale della cosa " : poich gli uomini sono malvagi , avidi , mancatori della fede e violenti , il principe che costretto ad agire tra loro non pu seguire in tutto le leggi morali , ma deve imparare anche ad essere " non buono " , dove le circostanze lo esigano ; deve guardare al fine , che vincere e mantenere lo Stato : i mezzi se vincer saranno sempre considerati onorevoli . Sono questi i capitoli che hanno immediatamente suscitato pi scalpore , ed hanno attirato per secoli su Machiavelli l' esecrazione e la condanna . Il capitolo XXIV esamina le cause per cui i principi italiani , nella crisi successiva al 1494 ( il crollo della libert italiana ) hanno perso i loro Stati . La causa per lo scrittore essenzialmente l' " ignavia " dei principi , che nei tempi quieti non hanno saputo prevedere la tempesta che si preparava ( solo Savonarola aveva avuto l' intuizione ) e porvi i necessari ripari . Di qui scaturisce naturalmente l' argomento del capitolo XXV , il rapporto tra virt e fortuna , cio la capacit , che deve essere propria del politico , di porre argini alle variazioni della fortuna , paragonata a un fiume in piena che quando straripa allaga le campagne e devasta i raccolti e gli abitati . L' ultimo capitolo , il XXVI , , come accennato , un' appassionata esortazione ad un principe nuovo , accorto ed energico , che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberare l' Italia dai barbari .MACHIAVELLI ANTIMETAFISICO E SCOPRITORE DEL MODERNO

I moderni si avviano ad unaspra critica dellastrattezza e del dogmatismo in cui erano immerse let classica e la sua metafisica, quellastrattezza che portava automaticamente allimmagine delluomo razionale, animale politico e campione di virt. Con Machiavelli fa la sua comparsa sullo scenario filosofico unistanza realistica e critica che esordisce con una critica della tradizionale (e chimerica) immagine delluomo, frutto del dogmatismo e dellastrattezza del pensiero metafisico: come si produce un tale esito del pensiero? Avviene che un particolare aspetto - inteso in certo modo di una complessa e concreta realt venga identificato col vero essere di quellintera realt, cosicch essa finisce con lessere identificata in tutta la sua complessit con un singolo aspetto dei molteplici che la caratterizzano. E, una volta operata questa astrazione, si identifica dogmaticamente tale singolo aspetto con lindiscussa verit di quella realt: tale appunto la definizione metafisica di uomo come "animale razionale", quasi come se la ragione esaurisse lesser uomo proprio delluomo e come se gli uomini fossero tutti tali poich possessori di siffatta razionalit: una tale astrazione finisce col cristallizzarsi dogmaticamente in verit indiscutibile, da accettarsi passivamente. I metafisici classici hanno, in questo senso, assolutizzato una loro interpretazione della realt e non un caso che Platone e Aristotele, pur divergendo in moltissimi punti, si trovino daccordo nel ritenere che il filosofare scaturisca dalla meraviglia ( ) di fronte a ci che non si conosce; ma lecito affermare che questa loro dogmatica astrazione della ragione

cos concepita corrisponda tout court al reale? Si pu dire che essa qualifichi luomo? O non forse pi corretto affermare che ne costituisce unidealizzazione, non dissimile da quella attuata dalla scultura greca, che ci presenta una bella umanit evidentemente idealizzata? E forse lecito ammettere che gli uomini siano essenzialmente ragione? E soprattutto la ragione in questione quella come la intendevano gli antichi? Porsi queste domande equivale a mettere in dubbio che i metafisici siano nel giusto e far valere unistanza realistica, come appunto fa Machiavelli: egli opera nella stessa Firenze e negli stessi anni in cui Pico e Ficino andavano sostenendo la centralit del divino, gli stessi anni in cui Savonarola si scagliava contro il lusso dilagante, sicch assistiamo contemporaneamente al canto del cigno della metafisica (simboleggiata dal neoplatonismo fiorentino) e allesordio del punto archimedeo su cui poggia la modernit. Nel capitolo XV del Principe troviamo brillantemente esposta, in maniera sintetica e icastica, la prospettiva machiavelliana: "sendo l'intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi parso pi conveniente andare drieto alla verit effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti n conosciuti essere in vero; perch elli tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara pi tosto la ruina che la perservazione sua: perch uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessit. Lasciando adunque indrieto le cose circa uno principe immaginate, e discorrendo quelle che sono vere, dico che tutti li uomini, quando se ne parla, e massime e principi, per essere posti pi alti, sono notati di alcune di queste qualit che arrecano loro o biasimo o laude". Centrali sono alcune espressioni e alcune concezioni che affiorano nel passo, quali lutilit, la verit effettuale, il rifiuto dellimmaginazione, tutti parametri propri di Machiavelli e dellet moderna e preannuncianti limminente dissoluzione della metafisica trascinatasi fino a quei tempi. Machiavelli, quando accenna a chi ha voluto tratteggiare gli uomini non quali sono ma quali dovrebbero essere, mette alla berlina la Repubblica di Platone e la Politica di Aristotele, massime espressioni della tramontante et metafisica; chi si ostina a guardare non al come si vive ma al come si dovrebbe vivere, va inevitabilmente incontro alla propria rovina, poich la propria preservazione concetto squisitamente moderno impossibile per chi vuol essere buono in mezzo a tanti che buoni non sono; ne consegue allora che chi cerca fantasticamente di essere quel che dovrebbe essere cade in miseria, sicch il principe che aspira a restar tale deve apprendere a poter non essere buono. Questo passo machiavellico segnala, tra laltro, come il "principe" concerna luomo in quanto tale e valga per il "principe" proprio perch vale per luomo. Il "principe", dunque, altro non se non una metafora delluomo e il trattato di Machiavelli mira innanzitutto ad insegnare come mantenere la propria preservazione, cosicch, prima di essere un manuale di politica, esso un manuale di sopravvivenza rivolto a tutti gli uomini, affinch essi imparino a sopravvivere nella giungla della vita senza esser travolti dai soverchiamenti altrui; e la politica sar allora in primo luogo la ricerca della propria preservazione, senza

domandarsi se sia giusta o ingiusta o, tanto meno, che cosa siano il giusto e lingiusto in s. Si pu allora leggere in filigrana unantropologia di fondo in questo discorso politico condotto tecnicamente: ben si evince come i suoi principali ingredienti siano il realismo, il pragmatismo e il pessimismo. Vi troviamo un secco rifiuto dellimmaginazione (propria della metafisica) e un invito alla ricerca della verit effettuale della cosa, rivendicata nel momento stesso in cui Machiavelli dichiara nella dedica del Principe - esser frutto del suo sapere una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lettura di quelle antiche (attraverso le storie narrate da Livio, Tacito, ecc). Lesperienza viene da lui sapientemente coniugata al sapere storico, mettendo laccento sulla loro concretezza; concreta lesperienza che si ha stando a contatto con la realt, ma anche quella che si fa leggendo i libri di storia, configurantisi come una sorta di esperienza narrata, giacch essi ci raccontano ci che effettivamente e singolarmente accaduto, senza vane pretese di cogliere fantomatici universali, di contro allastrattezza che avviluppa la metafisica. Dobbiamo per prestare molta attenzione alla terminologia impiegata da Machiavelli, spesso fuorviante: per "buono" egli intende qualcosa di radicalmente diverso a ci a cui noi tutti siamo abituati, e in particolare egli si riferisce all "efficace", cosicch per Machiavelli pu dirsi "buono" ci che risulta "efficace". Discorso analogo vale per il termine "virt", di cui il pensatore toscano si serve in unaccezione diversissima rispetto a quella tradizionale: nellaccezione medica di "potestas quaedam faciendi", come quando si parla delle virt terapeutiche di una medicina, alludendo al suo saper sortire un determinato effetto. Si pu dunque legittimamente affermare che i termini "bont" e "virt" si colorino in Machiavelli di significati nuovi, indorandosi di unimpostazione utilitaristica e pragmatistica, quasi come se egli ribattezzasse la terminologia tradizionale. Egli, dunque, pone al centro dei suoi interessi luomo o, meglio, i singoli uomini , ma, proprio perch non parla delluomo universalmente inteso (come invece facevano Platone e Aristotele), ma della infinita molteplicit degli individui concreti, si tratta di unautentica esperienza reale e concretizzata, mentre invece la "favola" delluomo universale, raccontata per secoli e secoli, non ci riguarda minimamente sul piano empirico, anche se pu dilettare la nostra immaginazione e compiacere il nostro narcisismo. Occorre piuttosto indagare lessere e non il dover essere, sicch verso la fine del secolo un altro grande inauguratore dellet moderna, Francesco Bacone, scriver nel suo De augmentis scientiarum (cap. VIII, par. 2) che si deve esser grati a Machiavelli per laver mostrato quello che gli uomini sono e non ci che dovrebbero fare; viene esaltata da Bacone (e da molti altri) la franchezza, lavversione allipocrisia, e la concretezza nella sua efficaceit, giacch meno ipocriti siamo verso noi stessi e tanto meglio riusciamo ad organizzare la nostra esistenza in questo mondo, muovendoci in direzione del nostro personale interesse, che in primo luogo la nostra preservazione. Machiavelli viene dunque osannato come demistificatore, sebbene egli a pi riprese mostri la necessit di ricorrere allipocrisia e alla simulazione. Prima ancora che per il principe, vi sono per tutti gli uomini virt (pretese o ritenute tali) che, se seguite, portano alla rovina, e ci sono vizi (pretesi o ritenuti tali) che, se eseguiti, ci preservano: allora si domanda Machiavelli perch mai dobbiamo chiamare virt quelle e vizi quegli altri? Stiamo in queste riflessioni ammirando l "aurora" (cos si esprime Giovanni Gentile) di una

concezione delluomo e del mondo circostante tratteggiata dai moderni, ad avviso dei quali spesso i vizi privati si rivelano come pubbliche virt. Quella che prende a svilupparsi , in altri termini, una vera rivoluzione copernicana delletica: non si forse sempre sostenuto che la virt essa stessa il primo premio delluomo virtuoso? E, di conseguenza, non si sempre ritenuto che dallagire virtuosamente derivi sempre il successo? Tale veduta per dirla con Manzoni "una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva", ossia si tratta di immaginazioni filosofiche prive di riscontro nella realt, ed qui che subentrano le considerazioni di Machiavelli sulla questione religiosa e, in particolare, la distinzione da lui operata tra la religione dei moderni (il cristianesimo) e quella degli antichi (il paganesimo), con particolare attenzione ai diversi effetti che esse producono: quella dei moderni ha effetto indebolente, poich fa perdere la stima di questo mondo, concepito alla stregua di unanticamera rispetto al presunto vero mondo, cosicch non importante se in tale anticamera ci si trova sdraiati o seduti, liberi o in catene, padroni o servi, giacch semplicemente di unanticamera si tratta; viceversa, la religione degli antichi sortisce effetti rafforzanti, rivaluta pienamente il mondo che ci sta dinanzi e esorta a dedicarsi interamente ad esso, compiendo azioni determinate e "bellicose". In altri termini, il cristiano vive il mondo passivamente, giacch quello che ha davanti non il vero mondo, mentre il pagano per il quale il mondo che gli sta dinanzi il solo vive attivamente, cavalcando londa degli accadimenti. Scrive a tal proposito Machiavelli, nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (II, 2) : "la religione antica, oltre a di questo, non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria, come erano capitani di eserciti e principi di repubbliche. La nostra religione ha glorificato pi gli uomini umili e contemplativi che gli attivi. Ha dipoi posto il sommo bene nella umilt, abiezione, e nel dispregio delle cose umane; quellaltra lo poneva nella grandezza dello animo, nella fortezza del corpo ed in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi". Qui Machiavelli inaugura quellaccesa polemica contro il cristianesimo che si trasciner per tutta lera moderna, facendo leva sul fatto che quello cristiano un modo di vivere che ha reso debole la vita stessa e lha consegnata nelle mani degli "scellerati" che possono adeguatamente maneggiare il mondo, vedendo come i pi, per andare in paradiso, pensano pi a sopportare le proprie ingiustizie anzich vendicarle, rendendosi in tal maniera passivi e sottomessi a chi non ha di questi scrupoli. Ne consegue allora che gli antichi avevano una religione falsa ma buona (cio utile), mentre i moderni ne hanno una vera ma non buona ai fini mondani, giacch, per ottenere la propria preservazione, occorre essere astuti come volpi in modo tale da scovare le trappole disseminate sul percorso della vita (e in modo da disseminarle sui percorsi altrui) e forti come leoni, in maniera tale da spaventare i lupi che ci circondano ( lhomo homini lupus di Hobbes che qui trova un antecedente). Certo, se gli uomini fossero tutti buoni (nel significato tradizionale di "buono"), allora questo precetto andrebbe respinto, ma poich essi sono "tristi", ovvero malvagi, e non ci risparmierebbero, a nostra volta non dobbiamo risparmiare loro. Il mondo che Machiavelli esibisce lontanissimo da quello armonico della metafisica, in cui ogni cosa occupa il posto che le compete assolutamente umano e appare retto da una logica economica di concorrenza spietata, in cui non vi posto per altra regola e tutti gareggiano contro tutti ( unanticipazione

del bellum omnium contra omnes di Hobbes) in vista della propria individuale sopravvivenza. Al di l dei giudizi favorevoli espressi da Bacone e da altri illustri filosofi, non sono mancati i demonizzatori di Machiavelli, vistosamente infastiditi dallo smascheramento da lui attuato, uno smascheramento che non ha risparmiato nemmeno la politica e la religione e che ha portato ad una graduale laicizzazione procedente in senso opposto al platonismo, allaristotelismo e al cristianesimo. Nel capitolo XII del Principe il pensatore toscano si sofferma sulle leggi: "principali fondamenti che abbino tutti li stati, cos nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme. E perch non pu essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io lascer indrieto el ragionare delle legge e parler delle arme". Leggendo questo brano, si nota facilmente come la legge sia basata sulla forza, cosicch Machiavelli parla delle leggi proprio perch parla delle armi, che ne sono il fondamento; infatti la forza a porre le leggi, e pertanto lo Stato non il naturale frutto di una presunta socievolezza umana (come invece si illudeva Aristotele), per cui la ragione andrebbe evolvendosi verso sempre pi complesse forme di convivenza (la famiglia, il villaggio, la ), bens imposto manu militari, in maniera coercitiva e attraverso la sottomissione dei pi deboli da parte dei pi forti, dove la forza in questione sia quella leonina (cio fisica) sia quella volpina (cio intellettuale); ne segue che lo Stato altro non se non il frutto di un conflitto dinteresse e, quindi, di una lotta per il potere, e non gi della cooperazione di sapienti virtuosi in vista dellesercizio della giustizia; esso dunque intessuto da rapporti di forza variamente mediati e sia la presa sia il mantenimento del potere richiede la consapevolezza delle forze in gioco. In Machiavelli, tuttavia, non troviamo una dottrina dello Stato esplicitamente esposta, che ne spieghi la forma e la struttura: sar invece Hobbes, nel secolo seguente, a sviluppare adeguatamente le basi gettate dal filosofo toscano; aleggia per negli scritti machiavellici la consapevolezza che la vita politica teatro di scontri fra interessi contrastanti e, pertanto, il problema centrale come districarsi in questo caotico groviglio di situazioni in cui padrona la forza. Quale sar, allora, lorigine delle leggi? E quella dello Stato? Le prime e uniche leggi sono poste dalla volont di qualcuno, anche se essa si gabella per volont divina: "e veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio; perch altrimente non sarebbero accettate: perch sono molti i beni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in s ragioni evidenti da poterli persuadere a altrui. Per gli uomini savi, che vogliono trre questa difficult, ricorrono a Dio". Qui Machiavelli inaugura quellaccesa polemica contro il cristianesimo che caratterizza let moderna: quello cristiano un modo di vivere che ha reso debole la vita stessa e lha affidata nelle mani di "scellerati" che possono adeguatamente maneggiare il mondo a loro vantaggio, vedendo come i pi, per avere accesso in paradiso, pensino maggiormente a sopportare le ingiustizie subte anzich vendicarle, rendendosi in tal maniera passivi nei confronti di chi invece non ha di questi scrupoli. E pertanto gli antichi disponevano di una religione falsa, ma buona, mentre invece i moderni ne hanno nel cristianesimo una vera ma non buona ai fini mondani, giacch per ottenere la propria conservazione occorre essere astuti come le volpi, in maniera tale da scovare le trappole disseminate lungo il percorso della vita (e in modo tale da disseminarle sui

percorsi altrui) e forti come leoni, in modo tale da poter spaventare i lupi famelici che ci circondano e non aspettano altro che di sbranarci ( questo, in nuce, l homo homini lupus di Hobbes, che trova in Machiavelli un suo illustre antecedente). Certo, se gli uomini fossero tutti buoni (nel significato tradizionale di "buono"), allora questo precetto sarebbe da respingersi, ma poich essi sono "tristi" (ossia malvagi) e non ci risparmierebbero, dobbiamo essere noi i primi ad agire, non risparmiandoli. Il mondo che Machiavelli esibisce nei suoi scritti infinitamente lontano da quello armonico della metafisica, in cui ogni cosa occupava magicamente il posto che le competeva assolutamente umano e appare retto da una logica economica di concorrenza spietata, in cui non pare vi sia posto per altra regola e in cui tutti gareggiano contro tutti in vista della propria individuale sopravvivenza. Oltre a chi, come Bacone, lha esaltato, vi anche stato chi ha demonizzato il pensiero di Machiavelli, perch infastidito da quello smascheramento da lui attuato che non risparmia nemmeno la politica e la religione, portando ad una graduale laicizzazione procedente in senso opposto rispetto al platonismo, allaristotelismo e al cristianesimo. Nel capitolo XII del Principe Machiavelli si sofferma diffusamente sulle leggi: "principali fondamenti che abbino tutti li stati, cos nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme. E perch non pu essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io lascer indrieto el ragionare delle legge e parler delle arme". Nella prospettiva machiavellica, la legge si basa sulla forza, cosicch il pensatore toscano parla delle leggi proprio perch parla delle armi, che ne sono il fondamento. In altri termini, la forza a porre le leggi, sicch lo Stato non il frutto della naturale socievolezza umana (come invece si illudeva Aristotele), per cui la ragione andrebbe evolvendo verso sempre pi complesse forme di convivenza (dalla famiglia alla citt passando per il villaggio), bens imposto manu militari, con la forza e con la sottomissione dei pi deboli da parte dei pi forti, dove la forza in questione sono solo quella leonina (cio fisica), ma pure quella volpina (ovvero intellettuale) tipica di chi sa ingannare il prossimo. Lo Stato risulta allora essere il frutto di un conflitto dinteresse e, quindi, di una lotta volta alla conquista del potere, e non gi il risultato della cooperazione dei sapienti virtuosi in vista dellesercizio della giustizia: esso , allora, intessuto da rapporti di forza variamente mediati e sia la presa sia il mantenimento del potere richiede la consapevolezza di quali siano le forze in gioco. Ciononostante, leggendo gli scritti machiavelliani, non rintracciamo una dottrina dello Stato esplicitamente esposta, che ne spieghi la struttura e la nascita: sar invece un secolo dopo Hobbes a sviluppare pienamente questi presupposti di Machiavelli. Pur mancando di unesplicita formulazione di teorie che chiariscano la nascita e lo sviluppo dellapparato statale, Machiavelli per perfettamente consapevole di come la vita politica sia un teatro di scontro fra interessi contrastanti e, dunque, il problema sar capire come districarsi in questo caotico groviglio di situazioni delle quali padrona la forza bruta. Quale lorigine delle leggi? E quella dello Stato? La risposta fornita da Machiavelli che le prime e uniche leggi sono state poste dalla volont di qualcuno, anche se essa si gabella per volont divina: "veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio; perch altrimente non sarebbero accettate: perch sono molti i beni conosciuti da uno

prudente, i quali non hanno in s ragioni evidenti da poterli persuadere a altrui. Per gli uomini savi, che vogliono trre questa difficult, ricorrono a Dio". Chi saggiamente prudente scorge una miriade di beni che per, in se stessi, non hanno ragioni cos fondate da persuadere tutti gli uomini della loro bont, e perci tali uomini lungimiranti si appellano artificiosamente allautorevole volont di Dio: facendo passare per beni posti da Dio quelli che essi hanno individuato, riescono a far s che anche la gente comune li riconosca effettivamente come beni. Ne segue che il bene comune non ha in s ragioni evidenti, non cio immediatamente lampante alla ragione, la quale scorge in un primo momento soltanto il bene dei singoli individui. In sostanza, non tutti gli uomini son dotati di una ragione cos lungimirante da vedere come il bene del singolo trovi migliori possibilit di realizzazione se inserito nel bene comune (lordine, la pace, ecc) e subordinato ad esso, e il buon legislatore quello che sa distinguere il bene comune da quello individuale e sa cogliere lopportunit di subordinare il secondo al primo, e per far ci ricorre a Dio. I pi non sono lungimiranti in quanto accecati dalla legge incontrastata delle divoranti passioni: e come dimostra ogni storia, necessario presupporre che tutti gli uomini siano malvagi (cio succubi delle passioni) e che usino la malvagit del loro animo ogni qual volta ne abbiano loccasione; viene in questo modo affermata la funzione coercitiva delle leggi e smascherata la fantasticheria metafisica secondo cui luomo sarebbe per natura incline al bene. Il mondo cos inteso si configura allora come uno scacchiere in cui tutti guerreggiano contro tutti in una battaglia regolata dalla forza, animata dalla ricerca della propria individuale conservazione e, quindi, del potenziamento di s. Lattacco sferrato da Machiavelli allottimismo metafisico frontale: la visione celebrativa ed encomiastica elaborata da secoli e secoli di elucubrazioni metafisiche vigorosamente ripudiata. In quegli stessi anni Erasmo da Rotterdam pubblicava il suo Elogio della follia, nel quale ritroviamo un analogo capovolgimento dellimmagine tradizionale delluomo: "perch la vita umana non fosse del tutto improntata a malinconica severit, Giove infuse nell'uomo molta pi passione che ragione: press'a poco nella proporzione di mezz'oncia ad un asse. Releg inoltre la ragione in un angolino della testa lasciando il resto del corpo ai turbamenti delle passioni. Quindi, alla sola ragione contrappose due specie di violentissimi tiranni: l'ira, che occupa la rocca del petto e il cuore stesso che la fonte della vita, e la concupiscenza che estende il suo dominio fino al basso ventre. Quanto valga la ragione contro queste due agguerrite avversarie ce lo dice a sufficienza la condotta abituale degli uomini: la ragione pu solo protestare, e lo fa fino a perderci la voce, enunciando i princpi morali; ma quelle, rivoltandosi alla loro regina, la subissano di grida odiose, finch lei, prostrata, cede spontaneamente dichiarandosi vinta" (cap. 16). La facciata quella di uno scherzo erudito, ma in realt Erasmo sta contrabbandando una diversa immagine delluomo, contribuendo a quella crisi dellimmagine del mondo che si stava propagando in quegli anni con incredibile rapidit. La ragione secondo Erasmo funziona solo come ragione critica che denuncia le aporie irrisolte del reale e, accanto a tale ufficio, come ragione calcolatrice: la sua relazione con le passioni non quella ottimisticamente fantasticata dalla metafisica; in opposizione a quella prospettiva ormai superata, si pu dire con piena liceit che la ragione non padrona delle passioni, ma ne lo zimbello, e la

figura del santo cristiano e del virtuoso filosofo sono solamente pii desideri frutto della dogmatica astrazione della ragione che perde di vista il concreto e il reale perch abbagliata dallideale, dimentica dellenorme complessit in cui la realt si articola. A tal proposito, cos scrive Machiavelli nellIntroduzione ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: "e veggiendo, da l'altro canto, le virtuosissime operazioni che le storie ci mostrono, che sono state operate da regni e republiche antique, dai re, capitani, cittadini, latori di leggi, ed altri che si sono per la loro patria affaticati, essere pi presto ammirate che imitate; anzi, in tanto da ciascuno in ogni minima cosa fuggite, che di quella antiqua virt non ci rimasto alcun segno; non posso fare che insieme non me ne maravigli e dolga". E come se qui il pensatore toscano ci stesse segnalando un cortocircuito in virt del quale lammirazione per i grandi personaggi si sostituisse allimitazione dei medesimi, quasi come se ammirandoli li si imitasse. E Machiavelli rileva quanto sia discosto il come si dovrebbe vivere dal come realmente si vive: il principe deve perci saper usare la "bestia" che in lui (cio la volpe e il leone), precetto questo che non sarebbe valido se gli uomini fossero tutti buoni. Sorge spontaneo domandarsi fino a che punto, tuttavia, Machiavelli quando tratteggia il principe non ricada egli stesso nei meandri dellaborrita metafisica: in realt, egli non ci dice mai che cosa luomo sia, proprio per evitare di inciampare in una nuova metafisica ancorch di segno opposto -, ma resta sul piano delle considerazioni empiriche, tenendosi lungi da generalizzazioni metafisiche, osserva pi di quanto non spieghi, cosicch il suo si qualifica come un prudente e limitato empirismo che generalizza ipoteticamente e provvisoriamente, sempre in attesa di smentite empiriche. Dove risiede, dunque, il pessimismo di cui il pensiero di Machiavelli intriso? E cosa dobbiamo intendere quandegli afferma che gli uomini sono malvagi? Allorigine della loro malvagit vi listinto di conservazione che ciascuno di noi ha, in quanto animato dalla ricerca della propria sopravvivenza, che deve perennemente confrontarsi con la fortuna, essendo esposta al rischio di trovarsi in situazioni non prevedibili e, quindi, tali da mettere sempre e di nuovo in pericolo la conservazione, il cui istinto si sviluppa in una congenita insicurezza che lo frantuma, moltiplicandolo in una miriade di passioni (lavarizia, la brama di dominio, ecc) e induce a proteggersi dai colpi della capricciosa fortuna accumulando ci di cui essa pu in qualsiasi istante privarci. La malvagit umana quindi prodotta dal timore che naturalmente accompagna listinto di conservazione. Il piacere di godere dei beni, cos come il timore di perderli, spiega come la sete di ricchezza sia universale quanto lavarizia e lingratitudine; ma, parallelo al desiderio di ricchezza, anche quello di reputazione e di gloria, giacch onore e fama danno potere e, quindi, come le ricchezze, procurano la conservazione, diventando in questa maniera il fine a cui ciascuno tende. Da ci si evince come per Machiavelli luomo sia precipuamente "bisogno", come affiora dai suoi stessi scritti: "essendo gli effetti umani insaziabili perch avendo dalla natura di potere e volere desiderare ogni cosa e dalla fortuna di potere conseguitarne poche, ne risulta continuamente una mala contentezza nelle menti umane, il che fa biasimare i presenti tempi, laudare i passati e desiderare i futuri". Altrove (nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio), egli scrive: "la natura ha creato gli uomini in modo che possono desiderare ogni cosa e non possono conseguire ogni cosa: talch essendo sempre maggiore il desiderio che

la potenza dello acquistare, ne risulta la magra contentezza di quello che si possiede, e la poca soddisfazione d'esso". Machiavelli, per, non si lascia andare a fantasticheria metafisiche, bens si limita a constatare empiricamente che gli uomini sono per natura desiderio e i due brani riportati introducono le nozioni chiave di "natura" e di "fortuna", che approfondiremo meglio pi avanti: il pensatore toscano non esplicita le ragioni in virt delle quali luomo desiderio, ma si pu facilmente comprendere come sia tale per via della sua consustanziale finitezza, che fa s chegli sia un desiderio permanente e perennemente inappagato, giacch la finitezza implica inevitabilmente che ciascuno di noi sia ogni volta quello che ora, nel modo limitato in cui effettivamente lo , e non sia pi quel che era n ancora quel che sar. La finitudine umana, allora, comporta una precariet congenita dellessere finito che, perch tale, manca costantemente di ci che era e di ci che sar: in altri termini, nessuno di noi mai tutto e sempre luomo che , cosicch possiamo dire che ci manca sempre qualcosa, siamo animati dal bisogno dessere tutto e sempre ci che siamo. Ci significa che "essere finito" non essere, quanto piuttosto desiderio dessere che si palesa in uno sforzo continuo. Listinto di conservazione, dunque, altro non se non preservare se stessi, ma tale "se stessi" desiderio di s che lessere finito permanentemente , un desiderio sempre rinnovantesi e mai estinguibile, perpetuamente proliferante in una molteplicit di desideri, in quanto di volta in volta diventa desiderio di tutto ci che lo alimenta, lo conserva e lo fortifica, configurandosi di conseguenza come repulsione di ci che invece lo restringe e lo mette in pericolo. Esso necessariamente diventa da ultimo volont di onnipotenza, poich solo questultima appare come garanzia di futuro, ossia certezza di poter continuare a potenziare il desiderio che si . Tale desiderio pu a ragion veduta essere definito come "amore di s", che brama la perpetuazione e la propria persistenza nellavvenire, rivelando in tal maniera che non un desiderio limitato a determinati oggetti che, se ottenuti, lo placano, bens intacitabile nel tempo, perch guardando al futuro non potr mai venir meno e, appunto in forza di ci, pullula incessantemente in sempre nuovi desideri di ci che gli pare possa garantirgli la sopravvivenza nel tempo a venire. Se non confinato dallesterno, allora si sviluppa come volont di onnipotenza: siamo qui dinanzi alla moderna riduzione delluomo ad istinto di conservazione, ad animale desiderante, e una tal riduzione configura certamente unanimalizzazione delluomo stesso, giacch lamore di s ora riconosciuto alla base dellumanit un tratto comune con gli altri viventi, un tratto che li accomuna pi di quanto non facesse il corpo o listintualit, pur con linsormontabile differenza che gli uomini dispongono della ragione, intesa per unicamente come critica e calcolatrice (gli animali detengono solo, in qualche misura, la ragione calcolatrice). Affiora cio limmagine di un uomo che non pi tuttaltra cosa rispetto alle passioni (tra le quali rientra lamor di s), ma come loro stessa espressione e funzione nella misura in cui cerca incessantemente la propria conservazione, mosso da quellistinto che lo accomuna agli altri animali. Tale istinto, per lappunto, nelluomo si dota di quella particolare facolt che la ragione, della quale si avvale per meglio raggiungere il proprio fine. In altri termini, la natura ha attrezzato i viventi dellistinto di conservazione, e in pi agli uomini ha dato quel sofisticato strumento che la ragione. Di qui nasce un processo di accumulazione costante di beni e ricchezze,

spinto dal timore di perderle: sorgono lodio, linvidia e tutte le altre manifestazioni del desiderio di dominare, desiderio dal quale tutti siamo animati; e linsicurezza in cui siamo immersi determinata, pi che dalla fortuna (ossia ci che sfugge al controllo della ragione), dalla finitezza della nostra esistenza, finitezza che si concretizza nei rischi che ci derivano dallincontrollabilit della fortuna e dallessere in compagnia (spesso pessima) dei nostri simili. E allora, ancor prima che di timore della fortuna, si tratta di timore del prossimo, "desiderando gli uomini in parte di avere di pi, parte di perdere lacquistato, si viene alle inimicizie e alla guerra, dalla quale nasce la rovina di quella provincia e lesaltazione di quellaltra". In queste righe, Machiavelli sta inconsapevolmente delineando quello che sar lo stato di natura di cui parler Hobbes qualche tempo dopo. Gli uomini sono ad avviso del filosofo fiorentino spinti essenzialmente da due cose: lamore di s e il timore, "n per altra cagione si cerca la vittoria n gli acquisti per altro si desiderano che per fare s potente e debole lavversario" (Historie fiorentine, VI, 1).Ben si vede come il discorso di Machiavelli tenda a procedere su due piani diversi, quello politico e quello antropologico, sicch la vittoria di cui egli parla pu essere tanto quella ottenuta sul campo di battaglia, quanto quella riportata invece in una faida familiare, ed interessante come venga posto laccento sugli acquisti che gli uomini fanno per sembrar ricchi, per accrescere la loro reputazione e, conseguentemente, per aumentare il proprio potere sugli altri: in un certo senso, cos parlando, Machiavelli sta fotografando una realt giunta fino ai giorni nostri. Il suo un pessimismo assolutamente laico, dove non vi alcun peccato originale che spieghi tale condizione: un pessimismo, dunque, che frutto dellesperienza che si ha e che gli storici ci tramandano, e che dunque si configura come un pessimismo da sempre esistente. Ci avviene perch, secondo Machiavelli, il mondo sembra essere sempre stato cos come pare a chi lo osservi non gi con gli occhiali rosa della metafisica, ma con locchio vigile e scientifico di chi resta ancorato allesperienza; ci vuol dire che, pur nel suo continuo mutare, il mondo sostanzialmente immobile: "e pensando io come queste cose procedino, giudico il mondo sempre essere stato ad uno medesimo modo, ed in quello essere stato tanto di buono quanto di cattivo; ma variare questo cattivo e questo buono di provincia in provincia, come si vede per quello si ha notizia di quegli regni antichi, che variano dalluno allaltro per la variazione de costumi, ma il mondo restava quel medesimo: solo vi era questa differenza, che dove quello aveva prima allogata la sua virt in Assiria, la colloc in Media, dipoi in Persia, tanto che la ne venne in Italia e a Roma" (Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, II, Proemio). Il mondo, allora, si presenta come limmobile variare del "tristo": non solo non vi progresso nella e della storia verso un qualche fine (quale poteva essere in passato la realizzazione della o della citt celeste), ma neppure vi un qualche senso che rischiari il ripetersi ciclico del tempo, per Aristotele motivato dalla necessit di un eterno riprodursi della ragione umana. Sembra anzi che lunico senso della storia sia la coazione a ripetere della forza e dellarbitrio, e ce ne accorgiamo non appena gettiamo uno sguardo a come procedono le cose oggi e a come procedevano ieri ai tempi degli antichi -, sicch siamo di fronte per usare unespressione del Gattopardo ad un tentativo di cambiare tutto per non cambiare nulla. Una grande agitazione che non porta alcun mutamento, poich le cose sono

operate dagli uomini ed essi sempre hanno ed ebbero le stesse passioni: la storia umana allora flirtando con Shakespeare - "tanto rumore per nulla" e questa prospettiva ben pu essere compendiata nelle parole bibliche: nihil sub sole novi. A chi giova, allora, questo mondo, definito da Hegel come un "mattatoio"? E una domanda seria ed inquietante, a cui Machiavelli non d risposta. Nasce subito unaltra domanda: i teorici dellimprescindibilit dellamor proprio e, quindi, delletica dellutile (da cui esulano le virt disinteressate) non distinguono forse tra barbarie e civilt? Non ammettono forse un avvenuto passaggio dalluna allaltra? Il discrimine tra la barbarie e la civilt risulta presso i moderni meno marcato rispetto a quanto non fosse presso i metafisici, ad avviso dei quali la civilt sotto legida di una ragione tuttaltra dalle passioni, in balia delle quali si sviluppa invece la barbarie, con linevitabile conseguenza che per un Platone, un Aristotele o un Tommaso tra le due barbarie e civilt vi un baratro. In Machiavelli e in buona parte dei moderni, invece, tra le due incontestabile sussiste una relativa continuit, data da quellinteresse che motore primo sia nella barbarie sia nella civilt; ma, se vero che lutile il fine a cui sempre siamo ordinati (, in un certo senso, corrispondente aristotelicamente sia alla causa formale sia a quella finale), allora sar lutile comune a segnare la differenza tra la civilt e la barbarie, e sar la ragione che espressione dellamor di s calcolatrice ad elaborare la distinzione tra utile privato e utile comune: la barbarie tale perch non vede nullaltro che non sia lutile individuale, ed perci caratterizzata dallo stato di natura; al contrario, la civilt si ha quando entra in gioco lutile comune e listinto di conservazione viene controllato dalla ragione. Sebbene Machiavelli si interroghi sul quo modo sit et fit, senza chiedersi il quid metafisico, non di meno egli giunge indirettamente e congetturalmente a qualcosa di sempre smentibile dallempiria, ad una visione del mondo che ci mette di fronte ad una cieca natura retta dal caso e dalla forza, una visione che pu essere definita come naturalismo pessimistico e fatalistico. Ma che cosa dobbiamo intendere per "natura" quando Machiavelli ne parla? Essa un plesso di fatti o di forze deterministicamente regolato dalla struttura delle cose, la quale limpulso alla conservazione, la vitalit che si rinnova in continuazione, sicch per Machiavelli la legge di natura darwinianamente - quella del pi forte e nelluomo la forza diventa virt, leonina e volpina insieme. E tale forza/virt si incarna storicamente di volta in volta nei Greci, nei Romani, nei Turchi e nei Germani, ossia nei popoli pi virtuosi, ossia pi efficaci a garantirsi la sopravvivenza in una prospettiva deterministica di guerra di tutti contro tutti. "Noi non ci possiamo opporre a quello che ci inclina la natura" (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro III) : ci vuol dire che quando vaneggiamo di essere liberi, stiamo in realt confondendo come noter Schopenhauer la libert di fare con quella di volere, che ci manca, giacch nessuno pu non volere la propria conservazione; in altri termini, siamo dotati di una libert assimilabile a quella del cane legato alla catena, che non pu correre dove vuole, ma pu ciononostante spostarsi e sedersi in pi punti, cercare riparo dal sole spostandosi allombra, a patto che la catena sia sufficientemente lunga. Tale visione del mondo una sorta di fenomenologia empirico/storica, ma anche una visione biologica della vita umana, una concezione fisicistica del reale, per cui la natura vita multiforme mirante a conservarsi; e in tale natura prevale chi meglio

attrezzato cio il pi forte -, tenendo sempre presente che nelluomo la forza la virt, e non pu essere in alcun caso ridotta a mera forza bruta, giacch spesso sono i pi deboli ma astuti a dominare i pi forti ma stolti. Ne consegue, allora, che la ragione di cui luomo dotato configura la sua forza anche e soprattutto come astuzia, come calcolo che permette di elaborare una strategia e una tattica nel condurre la propria esistenza, ed nella scelta della tattica che si rinviene quel margine di libert da Machiavelli riconosciuto alluomo: la ragione calcolatrice, infatti, strategica nella misura in cui sa guidare alla vittoria finale passando per obiettivi intermedi (quali lindebolimento del nemico, il costringerlo a battaglie campali, e cos via), ed tattica nella misura in cui sa disporsi efficacemente sul campo, cosicch mentre la strategia la pianificazione di fini a medio e a lungo termine (con obiettivi ultimi la nostra preservazione e con obiettivi intermedi larricchirsi, il diventar potente), la tattica escogitazione delle tecniche attraverso le quali raggiungere i fini intermedi che la strategia si assegnata (cos la tattica mi suggerisce di raggiungere la ricchezza rubando con la forza o truffando con lastuzia). Questa complicit tra la strategia e la tattica emerge benissimo in Guerra e Pace di Tolstoj, quando il generale, per far fronte allavanzata dellesercito napoleonico in Russia, segue la strategia della ritirata, illudendo in tal maniera lesercito avversario, e a ci aggiunge la tattica della terra bruciata, rendendo impossibile allesercito francese lapprovvigionamento. Nel caso delluomo, tuttavia, secondo Machiavelli non vi libert nella scelta della strategia: lobiettivo ultimo e determinato la conservazione di se stessi, che per possiamo raggiungere dispiegando liberamente una tattica a scelta. Essa pu esser dettata dalle sole passioni o dalla lungimiranza della ragione calcolatrice, e cos c chi mira alla conservazione ascoltando soltanto la primitiva voce delle passioni e chi invece tende lorecchio a quella pi sofisticata della ragione calcolatrice, subordinando linteresse proprio a quello comune e ottenendo in tal modo la propria conservazione. Da ci si evince come siamo irrimediabilmente legati alla catena dellistinto di conservazione, ma possiamo comunque liberamente scegliere quale tattica schierare: ed in questo ritaglio di libert che si inserisce Machiavelli con i suoi consigli, ed in lui la ragione lungimirante a prendere la parola, riconoscendo la realt per quella che e se stessa per quella che , mero strumento in mano alle passioni. In natura, dunque, trionfa il pi forte ed qui che si pone il problema del rapporto tra fortuna e virt, senza una profonda libert di scelta, poich la nostra volont gi sempre motivata dallamor di s. E a dir poco strano come Machiavelli vada elaborando il proprio pensiero negli stessi anni in cui Pico faceva le sue elucubrazioni sullinfinita libert delluomo, capace di innalzarsi a Dio o di abbassarsi ai bruti: quanto invece la nostra libert sia per Machiavelli relativa, lo si evince facilmente nel rapporto che egli individua tra la fortuna e la virt. Da una parte abbiamo la fortuna, ovvero quellinsieme di cose che sfuggono alla presa della ragione, e possiamo identificarla con la stessa necessit cosmico-naturale, ossia con quanto trascende luomo: , in altri termini, la natura stessa in tutto ci che sfugge alla nostra ragione, quellintreccio di forze vitali di cui luomo parte integrante ma che non pu del tutto padroneggiare. A pi riprese Machiavelli si esprime circa la fortuna, e in prima analisi le sue appaiono spesso affermazioni contrastanti e autoelidentisi, ma che in realt se lette in trasparenza

sono coerentemente legate al necessitarismo di cui Machiavelli fa il proprio cavallo di battaglia. A tal proposito, uno dei passi pi celebri il seguente (Il principe, cap. 25): "perch el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della met delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra met, o presso, a noi. Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell'altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, bench sieno cos fatti, non resta per che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe n si licenzioso n si dannoso. Similmente interviene della fortuna: la quale dimonstra la sua potenzia dove non ordinata virt a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla". Stante questo passo, si pu dire che virt e fortuna si spartiscano secondo Machiavelli il 50 % del potere, come se sussistesse il libero arbitrio: e il pensatore toscano supporta la propria tesi con lesempio pi volte iterato della piena del fiume, che s inevitabile, ma ciononostante pu essere incanalata: similmente, non possiamo abolire la fortuna che ci sovrasta, ma possiamo accomodarci ad essa e con essa, e nellatto stesso in cui pare rivendicare il libero arbitrio Machiavelli gi lo nega, perch luomo sempre e comunque incatenato alla necessit naturale e allistinto di conservazione (il che taglia le gambe ad ogni dottrina della libert darbitrio): restiamo per liberi di trarne il miglior partito, ossia di far valere allinterno di questa condizione ineliminabile la forza della nostra virt, siamo cio spinti dallistinto di conservazione ma possiamo in parte modificare grazie alla tattica - questo spazio limitato, ed appunto proprio dei virtuosi ladattarsi ai tempi e alle circostanze (che coincidono con la fortuna che ci toccata), traendone partito. E questa mezzadria tra virt e fortuna, volta a far s che il "nostro libero arbitrio non sia spento" (ossia che, pur limitato, non venga del tutto meno), da Machiavelli asserita pi in forma ottativa (di speranza) che non enunciativa, cosicch viene lasciato in qualche modo aperto uno spiraglio per il dubbio. La virt si configura allora come lefficienza realizzatrice che nelluomo la punta di diamante del naturale istinto di conservazione (leonino e volpino). Mai come in Machiavelli pu valere lantico adagio virgiliano secondo cui audaces fortuna iuvat, dove gli "audaci" in questione sono i virtuosi, che proprio perch tali sono destinati a vincere. La fortuna, infatti, avversa laddove la virt latita, giacch "gli uomini possono secondare la fortuna e non opporsegli" (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio), possono tessere gli orditi suoi e non romperli, ma in realt sempre la fortuna a creare le condizioni affinch un uomo si imponga sugli altri, e tale uomo deve solamente afferrarla e accoglierla facendola propria. Il quadro che cos viene delineandosi un quadro in cui domina la prepotenza della fortuna, giacch sempre lei ad imperare, non solo perch essa a propiziare la virt, ma anche perch la fortuna stessa a suscitare e a donare la virt: la natura, infatti, a creare i pi forti e, poi, perch tali, li incoraggia e li stimola offrendo loro le occasioni pi favorevoli. I disegni della fortuna, per, trascendono in ultima analisi ogni virt, risultandole imprendibili: la fortuna a donare la virt e, successivamente, a decidere a favore o

contro di essa. E la fortuna primaria che ci toccata in sorte non consiste soltanto nellesser nati ricchi anzich poveri, in pace anzich in guerra, e cos via, ma anche nellesser nati virtuosi anzich non virtuosi, di essere cio venuti al mondo dotati di quello strumento indispensabile per accordarsi con la fortuna che la virt. Il raggio dazione di questultima non solo limitato dalla fortuna, ma altres allestito da essa, poich lei a menare il gioco, lasciando alla virt solo lo spazio per cogliere loccasione, che poi lo spazio dellastuta riflessione del calcolo razionale. Non un caso che nei trattati in cui si impersonificavano pittoricamente le qualit, loccasione fosse solitamente rappresentata come nota a pochi, coi piedi alati e col volto coperto da una chioma che impedisce di scorgerne i lineamenti facciali, in modo tale che sia difficile notarne il suo volante passaggio. E poich i suoi capelli sono rivolti in avanti, risulta impossibile afferrarla una volta che passata, poich dietro non ha capelli che sporgano e ai quali potersi attaccare; occorre dunque coglierla al momento opportuno (il di cui parlava Gorgia) in cui, riconosciutala un attimo prima del suo passaggio, la si vede transitare, agguantandola con decisione, cosa di cui son capaci solo in pochi ed a quei pochi che sorride il successo. "Coloro che, per cattiva elezione o per naturale inclinazione, si discordono dai tempi, vivono, il pi delle volte, infelici, ed hanno cattivo esito le azioni loro" (Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, libro III): la fortuna fornisce la virt e la stimola donandole le occasioni, sicch i virtuosi seguono i disegni della fortuna, che sono quelli di far vincere i virtuosi stessi secondo la legge del pi forte. E nella logica della natura che il virtuoso colga loccasione creata ad hoc per lui, e se non la coglie, ci per la natura non ha alcuna importanza, perch essa come dir Schopenhauer - "non fa economia", dissipatrice, si sbarazza di chi non allaltezza. Cos, sar lecito affermare che a consentire limpero dei Romani sia stata la loro privilegiata relazione con la fortuna, che ha fornito loro le giuste occasioni: e in questa prospettiva ben si inquadra il discorso di Machiavelli sulle religioni "buone" e su quelle "cattive". La fortuna donna e, in quanto tale, deve essere picchiata: ma la forza bruta, da sola, non sufficiente, come Machiavelli rileva ne La vita di Castruccio Castracani da Lucca, dove descrive le vicende di questo capitano di ventura forte e irruente mandato in rovina dalla fortuna per via della sua stessa irruenza. Non si deve dunque far leva sulla forza bruta, ma piuttosto sulla virt che afferra loccasione proposta dalla fortuna, senza per sottomettere e battere questultima. Allora lespressione "battere" qui impiegata da Machiavelli va presa nel significato di saper cogliere loccasione, e se vogliamo seguire il pensatore toscano nella sua metafora erotica del rapporto fra marito e moglie, possiamo dire che con la fortuna avviene lo stesso che accade agli uomini con le donne, delle quali essi si credono conquistatori senza accorgersi che si tratta di una conquista che avviene non per loro volont, bens la fortuna che ci dota della virt per cogliere le occasioni che essa stessa fortuna propone e lascia credere allidiota di turno di essere stato lui stesso il protagonista piuttosto che loggetto passivo del reticolo della vita. Dunque la virt sola, assediata dalla necessit naturale e dalla fortuna dominante il mondo e la virt stessa, la quale porta al successo solamente se asseconda la fortuna. Si tratta, evidentemente, di un quadro desolante ma che pretende di essere veritiero, una realt crudele e sanguinaria, in cui necessariamente trionfa la simulazione (ed questo un elemento caratteristico

della modernit), voluta dalla ragione astuta e calcolatrice: "ma necessario [] essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessit presenti, che colui che inganna troverr sempre chi si lascer ingannare" (Il principe, cap. XVIII). Viviamo pertanto in un mondo soggetto al caso, scosso dalle vicende della fortuna e abitato da lupi, e in un tal mondo la morale tradizionale e lutilit sono necessariamente in contraddizione e in conflitto tra loro, e la simulazione lo strumento indispensabile alla sopravvivenza. Possiamo allora considerare non Pico, Ficino o Alberti e Bracciolini, ma Machiavelli come il vero inauguratore dellet moderna, colui che ha laicizzato la politica, scrivendo quello che pu esser detto innanzitutto un manuale di sopravvivenza rivolto a tutti gli uomini (e non solo al principe): egli in senso pieno un tecnico della riuscita e del successo, che non bada ai grandi fini universali e trascendenti (la giustizia, la verit, ecc), ma alla riuscita entro un orizzonte finito; e, sotto questo profilo, il suo scritto Dellarte della guerra , prima di tutto, un manuale per sopravvivere in quella guerra di tutti contro tutti che il mondo. A far di Machiavelli lo scopritore della modernit poi la sua consapevolezza della complessit e della tortuosit del reale, concepito come trama fittissima di forze concrete (storiche, psicologiche, culturali, ecc) che in gioco nelle vicende umane, una complessit che lo sguardo stralunato della metafisica aveva tralasciato, quasi come se, discorrendo di universali, si fosse scordata degli individui o, peggio ancora, avesse finto che la nostra realt non fosse autentica. Tale realt mondana (che lunica vera realt) complessa, quasi come una matassa di interessi e di motivazioni, sicch lesercizio della politica opera di intelligenza, di stratagemmi e della ragione al servizio delle passioni e dellamor di s: occorre essere esperti di tattica e di strategia per poter trionfare. Emerge cos il carattere tipicamente moderno del "manager", strategico e tattico, ricco di ingegnosit e campione nellesercizio della maschera, con la scoperta rilevanza della simulazione: quella partita a scacchi che la vita allora una mascherata, e la logica della simulazione percorre sotterraneamente lingarbugliata matassa inframondana, segnata dal fondamentale ruolo giocato dalla reputazione, intesa come la mia verit presso lopinione altrui; tale reputazione diviene tutta la verit del mondo di quaggi, e, con essa, la modernit che balza fuori allimprovviso, come Minerva sbuc dalla testa di Giove: ne nascono limportanza centrale della simulazione, dellautocontrollo, della manipolazione, dellinganno, dellarte di dirigere e di persuadere. Il principe non sopporta di essere adulato, ma ama adulare - a seconda delle convenienze il popolo, i prelati, lesercito, usando quelle che Machiavelli definisce "parole di seta": affiora in tal modo la concezione squisitamente moderna del piacere per soggiogare, nella logica del mors tua vita mea, siamo cio agli albori della pubblicit e della civilt dellimmagine, nella quale conta pi lapparire che lessere, nelle cui corti e nelle cui industrie si intessono gli orditi dei giochi delle apparenze. Lidea del politico moderno il principe di Machiavelli nasce in questo modo, ma si tratta, pi che di uninvenzione, della scoperta di un qualcosa che da sempre esistito, seppur sempre occultato da mille fattori: il potere risulta dunque essere il portatore di un coacervo di interessi di parti, di classi, di corporazioni; e che si tratti non di uninvenzione, ma di una mera scoperta lo attestano gli storici, che ci tramandano figure di grandi simulatori: cos Sallustio scrive che Catilina era "quoius rei lubet simulator ac

dissimulator", Livio narra larte del simulare di Annibale, e Machiavelli stesso racconta che "Alessandro VI non fece mai altro, non pens mai ad altro che ad ingannare uomini" ("Il principe", cap. XVIII). Un altro basilare elemento di modernit che emerge con Machiavelli il procedere per tentativi, come un cieco che saggia il te